mercoledì 10 febbraio 2010

A seriuos (man) post

Non li ho mai venerati. Due loro film li ho amati molto, è vero (Il grande Lebowski e Burn after reading), ma il resto della loro produzione, quella più chiacchierata, non mi ha fatto emozionare più di tanto. Anche Non è n paese per vecchi, unanimemente considerato un capolavoro assoluto, sebbene non mi sia alla fine dispiaciuto, non mi ha comunque mai fatto venir voglia, per dire, di vederlo di nuovo. E invece oggi, dopo la loro ultima fatica, posso dirmi convinto proselita dei fratelli Joel e Ethan Cohen. Entrato al cinema senza troppe aspettative (o meglio connesso a Megavideo senza troppe aspettative) ho visto davanti a me prender vita una vicenda talmente ben raccontata, che non esito a paragonarla ad altre opere mitiche, quelle che, anche se appartengono ad un'era ben precisa, allo stesso tempo raccontano storie e copioni universali, tipo la divina commedia, romeo e giulietta o la bibbia. Autosuggestione, direte. Forse. Ma insomma diamoli questi 30 e lode se ci si presenta l'occasione!

A serious man (sto parlando di questo film per chi non lo avesse ancora capito) è il Film (F maiuscola) sull'ansia. Detto che dovrebbero mettere obbligatoria la sua proiezione in ogni facoltà di psicologia, questo film è una descrizione in celluloide perfetta dello stato d'animo di chi vede crollare senza preavviso i propri punti di riferimento, di chi perde la mappa per orientarsi nel mondo. E' la storia di come tali punti di riferimento e mappa siano costruiti con un materiale troppo povero e troppo rigido per resistere al continuo fluire della vita e della morte. E qual è il risultato? Due sono gli effetti descritti dai due fratelli registi. Effetti opposti, ma l'uno non esclude l'altro, anzi i due vanno in parallelo per tuttto il film. E' il punto di vista di chi guarda, non di chi racconta, che oscilla tra i due effetti: tragedia e commedia. Il goffo e ridicolo affanno, che è l'unica cosa che ottiene il protagonista nel disperato tentativo di ricostruire l'antica mappa distrutta, può essere la cosa più divertente oppure la cosa più triste e penosa, dipende.

Questo è l'universale. Però, come la divina commedia ci parla sì di virtute e di peccato ma anche della Firenze dell'inizio del 300, anche A serious man è incarnato in un contesto ben preciso. Non è un caso che ci troviamo in una provincia americana, all'interno di una nutrita e bigotta comunità ebraica, a cavallo tra gli anni sessanta e i settanta. Difficile immaginare uno scenario in cui l'opposizione tra l'apollineo (i precetti religiosi, la vita matrimoniale, il rispetto del mos majiorum, i canti in yiddish, la matematica, la generazione nata prima della guerra) e il dionisiaco (il divorzio, la droga, la libidine, il rock'n'roll, i babyboomers) sia più radicale. Finché poi, nel finale, l'apollineo capitola definitivamente quando il terzo rabbino, somma autorità morale, ci svela il significato della vita pronunciando le fatidiche parole: when the truth is found to be lies and all the joy within you dies. Citando Somebody to love dei Jafferson Airplane (altro che Torah).

Dicono che il film sia autobiografico.


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