Recentemente, per un motivo o per un altro, mi capita raramente di andare ai concerti. Però ne ho visto uno perfetto due settimane fa. I Vampire Weekend al Penelope di Barcelona. Un'ora e un quarto di musica all'interno di quel piccolo auditorio, piccolo ma con buona visione e buona acustica, circondato e stritolato da una marea di spettatori in festa (ah, da dire che gli spagnoli, o meglio i catalani, sono meno caciaroni ai concerti di noi altri). Equilibrio perfetto in scaletta, inizio di fuoco con Cousin, poi non ci si ferma più fino alla metà, quandi i nostri inseriscono quei due o tre pezzi un po' più tranquilli, per rifiatare noi e loro. Infine si torna a saltare e ballare nel finale, Horchata, A-Punk e compagnia bella. Bravi, coinvolgenti, simpatici. Poi effettivamente è facile quando nel tuo repertorio non c'è un pezzo che non sia carino.
Due ultie cose. Uno: finalmente ho scoperto qual è il loro disco migliore, basandomi solo sulle sensazioni di pancia eh, e per niente affatto su sofismi da critico musicale: il primo. Due: avevo il dubbio, non è che adesso che hanno tutto sto successo che sembrano gli U2 diventeranno snob e paraculo? Date un occhiata al video (rumors dicono che sia vero)
mercoledì 10 marzo 2010
venerdì 19 febbraio 2010
Giovani puritani crescono
These new Puritans. Li ho visti un paio di anni fa, una bella combriccola di adolescenti brufolosi alle prese con un post-punk un po' logoro già a quei tempi, ma dall'impatto sonico notevole e tutt'altro che privo di originalità. Cavolo questi a sedici anni già ti tirano fuori una roba di questo spessore, il mio giudizio dopo il concerto. E eccoli di nuovo, due anni dopo. Prima di ascoltae la loro nuova fatica, Hidden, penso: finalmente anche loro avranno raggiuto i diciotto anni e, visto che meglio di come hanno fatto con Beat Pyramid, il lavoro preceddente, in pochi riescono a farlo, se dio vuole assumeranno ai miei occhi sembianze più umane, e la mia invida da rocker mancato sarà un po' attenuata. Mai aspettativa fu tanto fallace. Hidden è uno dei lavori più interessanti di questo inizio 2010 che mostra come i nostri, in quanto a composizione, non son secondi a nessuno. Perché, e già è l'intro a metterci in guardia, per quanto si possa essere increduli, i primi riferimenti sono alla musica classica. Non che la cornice sia questa, (la cornice direi che può benissimo essere anche qui la recente piega elettronica-psichedelica-new wave che hanno preso formazioni come Animal Collective, Atlas Sound e Yeasayer, per dirne alcune) ad ogni modo archi, fiati e campionatori si intrecciano spesso dando vita a evoluzioni e sovrapposizioni che solo chi conosce bene i ferri del mestiere riesce a ottenere. Poi ci sono le percussioni tese e ossessive, il dub, la voce alienata (si descrive da sola: my words evaporate,), altri coretti da messa nera sovraincisi e i synth alla Cocteau Twins che finiscono spesso per mettere l'accento su ciò che manca più che su ciò che è presente. Come scrive Aurelio Pasini sul Mucchio: sebbene non più post punk nella forma, rimane nell'attitudine. Un disco dark aggiornato all'anno corrente. Un'operazione intelligente che di recente forse hanno fatto solo gli XX ma con un risultato, a mio modesto parere, moscio e scadente (e so che molti non condividono). I These new puritans tra due anni, ventenni? a suonare con Ligeti. I giovani d'oggi crescono troppo in fretta
Carino il video
Carino il video
mercoledì 17 febbraio 2010
La meglio Gioventù secondo gli americani
E' di oggi la notizia che il film La Meglio Gioventù è nella classifica di Newsweek tra i dieci migliori film del decennio. Precisamente al quinto posto. Io, personalmente, sono d'accordo. C'è da dire che la classifica pare un riconoscimento postumo ad alcuni film di nicchia che, anche se di valore notevole, vengono solitamente snobbati quando si va a scrivere la storia del cinema: non sono infatti presenti all'interno della classifica i nomi classici che quasi sempre compaiono e che mettono d'accordo pubblico e critica (mi vengono in mente Mullholland Drive, il Pianista o il Signore degli Anelli). Troviamo invece lavori come Y tu mama tambien, Yi yi, Togheter, film che sento nominare per la prima volta e che spero avrò modo di vedere (dei dieci della lista ne ho visti la metà!). Bella idea quella di pescare tra i film semisconosciuti e di dar loro la dovuta attenzione. Se poi sono tutti al livello de La Meglio Gioventù, mi sono perso un bel pezzo della creme della produzione anni zero. Perché il film italiano, anzi la fiction italiana (come lo è Don Matteo, teniamolo presente), sottoscrivo in pieno, è un capolavoro. Sei ore di epopea di una famiglia romana che si trova, in un modo o nell'altro, a vivere le vicende italiane che hanno maggirmente segnato la storia dal dopoguerra fino al passaggio di secolo. Personaggi quasi mitologici, tutti a loro modo eroici. Tutto il meglio della nostra storia e anche il peggio, a cui però viene concesso l'onore delle armi. Forse un po' retorico a conti fatti, ma va bene così. Quando, dopo sei ore di film, ti trovi, mentre stai guardando i titoli di coda, a pensare: "ancora, ancora!", dopo esserti innamorato dei personaggi, dopo aver sofferto e gioito con loro, quando quasi quasi ti senti fiero di essere italiano... allora il film, come solo il grande cinema sa fare, è riuscito a fregarti alla grande. E si merita un quinto posto su Newsweek
lunedì 15 febbraio 2010
mercoledì 10 febbraio 2010
A seriuos (man) post
Non li ho mai venerati. Due loro film li ho amati molto, è vero (Il grande Lebowski e Burn after reading), ma il resto della loro produzione, quella più chiacchierata, non mi ha fatto emozionare più di tanto. Anche Non è n paese per vecchi, unanimemente considerato un capolavoro assoluto, sebbene non mi sia alla fine dispiaciuto, non mi ha comunque mai fatto venir voglia, per dire, di vederlo di nuovo. E invece oggi, dopo la loro ultima fatica, posso dirmi convinto proselita dei fratelli Joel e Ethan Cohen. Entrato al cinema senza troppe aspettative (o meglio connesso a Megavideo senza troppe aspettative) ho visto davanti a me prender vita una vicenda talmente ben raccontata, che non esito a paragonarla ad altre opere mitiche, quelle che, anche se appartengono ad un'era ben precisa, allo stesso tempo raccontano storie e copioni universali, tipo la divina commedia, romeo e giulietta o la bibbia. Autosuggestione, direte. Forse. Ma insomma diamoli questi 30 e lode se ci si presenta l'occasione!
A serious man (sto parlando di questo film per chi non lo avesse ancora capito) è il Film (F maiuscola) sull'ansia. Detto che dovrebbero mettere obbligatoria la sua proiezione in ogni facoltà di psicologia, questo film è una descrizione in celluloide perfetta dello stato d'animo di chi vede crollare senza preavviso i propri punti di riferimento, di chi perde la mappa per orientarsi nel mondo. E' la storia di come tali punti di riferimento e mappa siano costruiti con un materiale troppo povero e troppo rigido per resistere al continuo fluire della vita e della morte. E qual è il risultato? Due sono gli effetti descritti dai due fratelli registi. Effetti opposti, ma l'uno non esclude l'altro, anzi i due vanno in parallelo per tuttto il film. E' il punto di vista di chi guarda, non di chi racconta, che oscilla tra i due effetti: tragedia e commedia. Il goffo e ridicolo affanno, che è l'unica cosa che ottiene il protagonista nel disperato tentativo di ricostruire l'antica mappa distrutta, può essere la cosa più divertente oppure la cosa più triste e penosa, dipende.
Questo è l'universale. Però, come la divina commedia ci parla sì di virtute e di peccato ma anche della Firenze dell'inizio del 300, anche A serious man è incarnato in un contesto ben preciso. Non è un caso che ci troviamo in una provincia americana, all'interno di una nutrita e bigotta comunità ebraica, a cavallo tra gli anni sessanta e i settanta. Difficile immaginare uno scenario in cui l'opposizione tra l'apollineo (i precetti religiosi, la vita matrimoniale, il rispetto del mos majiorum, i canti in yiddish, la matematica, la generazione nata prima della guerra) e il dionisiaco (il divorzio, la droga, la libidine, il rock'n'roll, i babyboomers) sia più radicale. Finché poi, nel finale, l'apollineo capitola definitivamente quando il terzo rabbino, somma autorità morale, ci svela il significato della vita pronunciando le fatidiche parole: when the truth is found to be lies and all the joy within you dies. Citando Somebody to love dei Jafferson Airplane (altro che Torah).
Dicono che il film sia autobiografico.
A serious man (sto parlando di questo film per chi non lo avesse ancora capito) è il Film (F maiuscola) sull'ansia. Detto che dovrebbero mettere obbligatoria la sua proiezione in ogni facoltà di psicologia, questo film è una descrizione in celluloide perfetta dello stato d'animo di chi vede crollare senza preavviso i propri punti di riferimento, di chi perde la mappa per orientarsi nel mondo. E' la storia di come tali punti di riferimento e mappa siano costruiti con un materiale troppo povero e troppo rigido per resistere al continuo fluire della vita e della morte. E qual è il risultato? Due sono gli effetti descritti dai due fratelli registi. Effetti opposti, ma l'uno non esclude l'altro, anzi i due vanno in parallelo per tuttto il film. E' il punto di vista di chi guarda, non di chi racconta, che oscilla tra i due effetti: tragedia e commedia. Il goffo e ridicolo affanno, che è l'unica cosa che ottiene il protagonista nel disperato tentativo di ricostruire l'antica mappa distrutta, può essere la cosa più divertente oppure la cosa più triste e penosa, dipende.
Questo è l'universale. Però, come la divina commedia ci parla sì di virtute e di peccato ma anche della Firenze dell'inizio del 300, anche A serious man è incarnato in un contesto ben preciso. Non è un caso che ci troviamo in una provincia americana, all'interno di una nutrita e bigotta comunità ebraica, a cavallo tra gli anni sessanta e i settanta. Difficile immaginare uno scenario in cui l'opposizione tra l'apollineo (i precetti religiosi, la vita matrimoniale, il rispetto del mos majiorum, i canti in yiddish, la matematica, la generazione nata prima della guerra) e il dionisiaco (il divorzio, la droga, la libidine, il rock'n'roll, i babyboomers) sia più radicale. Finché poi, nel finale, l'apollineo capitola definitivamente quando il terzo rabbino, somma autorità morale, ci svela il significato della vita pronunciando le fatidiche parole: when the truth is found to be lies and all the joy within you dies. Citando Somebody to love dei Jafferson Airplane (altro che Torah).
Dicono che il film sia autobiografico.
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sabato 6 febbraio 2010
Vampire Weekend, Antlers, Bear In Heaven, Local Natives. Poker
Parlimo un po' di musica, che di recente ho ascoltato alcune cose con tempo e attenzione sufficente per scriverne.
Uno dei dischi che più mi godo in questi giorni è Contra dei Vampire Weekend. Per me era impensabile l'idea di poter amare così un disco tanto ska, reggae, afro (e chissà cos'altro!) quanto poco rock. Loro invece ci sono riusciti. E lo hanno già fatto con il precedente, uscito nel 2008, album omonimo (che comunque è più vicino a sonorità indie classiche rispetto al successivo). Meglio quest'ultimo o Contra? Oggi, non c'è dubbio, i quattro osano di più. Comunque sarà il tempo a dirlo, al momento non mi sbilancio. Il mio pezzo preferito è Run, e ha anche un testo carino.
Altro disco che sto consumando con voracità è Hospice degli Antlers, uscito qualche mese fa per la Frenchkiss. Per me uno dei migliori dello scorso anno. Sono andato a leggermi interviste, recenzioni, commenti e lyrics con una curiosità che non avevo da tempo per un disco. Lo dico subito, Hospice è uno strazio. Se siete tra quelli che non vanno al cinema perché l'amico ha detto che il film è bello, sì, ma anche triste, o tra quelli che, quando la radio manda un pezzo dei cure, cambiano stazione, allora tenetevi lontani da questo LP, ma molto lontani. Hospice è un concept dove il cantante e compositore Silberman ci accompagna, traccia dopo traccia, verso un'esperienza di dolore e di perdita, perdita di sé, dell'altro e insomma della terra sotto i piedi, dovuta alla condivisione con la persona amata della malattia terminale di quest'ultima. Da qui il titolo, Hospice, luogo dove i moribondi sono accompagnati verso gli ultimi momenti. La musica mantiene costante la tenzione, oscillando con sapienza tra crescendi showgaze e post rock da un lato e accordi di chitarra folk sussurrati (a me sono venuti in mente sia gli M83 e i sigur ros sia Bon Iver). La voce androgena si confonde con il riverbero degli strumenti, ma andando a leggere le liriche ci si accorge di quanto i testi siano belli, la giusta controparte della musica che li accompagna. Il risultato che ne viene fuori è davvero un'efficacie rappresentazione del dolore e della sua condivisione (e il primo singolo, Two, è uno dei momenti più ispirati).
Altri due dischi che consiglio sono Beast Rest Forth Mouth dei Bear in Heaven e Gorilla Manor dei Local Natives. Psichedelico e drone il primo, neofolk alla Fleet Foxes e Dodos (che mi sono piciuti meno) il secondo. Non male davvero.
Uno dei dischi che più mi godo in questi giorni è Contra dei Vampire Weekend. Per me era impensabile l'idea di poter amare così un disco tanto ska, reggae, afro (e chissà cos'altro!) quanto poco rock. Loro invece ci sono riusciti. E lo hanno già fatto con il precedente, uscito nel 2008, album omonimo (che comunque è più vicino a sonorità indie classiche rispetto al successivo). Meglio quest'ultimo o Contra? Oggi, non c'è dubbio, i quattro osano di più. Comunque sarà il tempo a dirlo, al momento non mi sbilancio. Il mio pezzo preferito è Run, e ha anche un testo carino.
Altro disco che sto consumando con voracità è Hospice degli Antlers, uscito qualche mese fa per la Frenchkiss. Per me uno dei migliori dello scorso anno. Sono andato a leggermi interviste, recenzioni, commenti e lyrics con una curiosità che non avevo da tempo per un disco. Lo dico subito, Hospice è uno strazio. Se siete tra quelli che non vanno al cinema perché l'amico ha detto che il film è bello, sì, ma anche triste, o tra quelli che, quando la radio manda un pezzo dei cure, cambiano stazione, allora tenetevi lontani da questo LP, ma molto lontani. Hospice è un concept dove il cantante e compositore Silberman ci accompagna, traccia dopo traccia, verso un'esperienza di dolore e di perdita, perdita di sé, dell'altro e insomma della terra sotto i piedi, dovuta alla condivisione con la persona amata della malattia terminale di quest'ultima. Da qui il titolo, Hospice, luogo dove i moribondi sono accompagnati verso gli ultimi momenti. La musica mantiene costante la tenzione, oscillando con sapienza tra crescendi showgaze e post rock da un lato e accordi di chitarra folk sussurrati (a me sono venuti in mente sia gli M83 e i sigur ros sia Bon Iver). La voce androgena si confonde con il riverbero degli strumenti, ma andando a leggere le liriche ci si accorge di quanto i testi siano belli, la giusta controparte della musica che li accompagna. Il risultato che ne viene fuori è davvero un'efficacie rappresentazione del dolore e della sua condivisione (e il primo singolo, Two, è uno dei momenti più ispirati).
Altri due dischi che consiglio sono Beast Rest Forth Mouth dei Bear in Heaven e Gorilla Manor dei Local Natives. Psichedelico e drone il primo, neofolk alla Fleet Foxes e Dodos (che mi sono piciuti meno) il secondo. Non male davvero.
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