mercoledì 30 dicembre 2009

(500) days of summer

Quando i tuoi rivali sono Shakespeare, Goethe e i Beatles il rischio è alto. E ci sarà sempre il critico che scriverà: pieno di banalità, luoghi comuni, frasi fatte, ritornelli già spremuti fino all'osso. Basta però togliersi l'occhiale da critico per non poter non godere di (500) days of summer (in italiano: (500) giorni insieme). "questa è la storia di un lui e di una lei, ma non è una storia d'amore" ci dice la voce narrante nell'incipit. Ma infondo mente. Trattasi invece di una storia d'amore (volutamente con la "a" minuscola) del tipo che, ognuno a modo suo, ma un po' tutti, soprattutto dai trentacinque in giù, abbiamo vissuto. Attratti dai monolitici miti di hollywood da una parte e dall'ambiguatà dei mlteplici accadimenti della vita dell'altra, incerti tra una relazione stabile ma un po' soffocante e la solitudine precaria ma eccitante, tra un lavoro sicuro ma noioso e uno avventuroso ma imprevedibile: chi non si è mai ritrovato in questa condizione esistenziale? (chi non si è mai trovato in una condizione esistenzale diversa da questa, mi vien da dire). I personaggi sono descritti in modo convincente, l'intreccio non segue un tempo lineare bensì, e il risultato funziona, salta avanti e indietro tra i 500 giorni della storia; e ci sono alcune trovate (la descrizione iniziale di Summer, l'intervista ai protagonisti, la scena del confronto tra expectancy e reality, la scena del post-prima volta) davvero da leccarsi i baffi. E la musica? oltre alla colonna sonora, sempre dietro l'angolo la citazione indie raffinata. e poi è un film dove si imbrocca con gli Smiths.

Risultato: I dolore del giovane werther come lo avrebbe scritto morrissey.

D'accordo, dopo aver avuto la sensazione di aver visto sullo schermo la mia vita, interpretata da qualcun'altro in un'altra città e con altri particolari, ma pur sempre la mia vita, anch'io per un attimo mi son rimesso gli occhiali da critico e ho pensato: "però, in effetti quella battuta è un po' scontata", "ovvia, la fine pure è un po' scontata" e ancora "qui la scena a ben vedere è un po' piattina". D'accordo, anch'io l'ho pensato. Ma allora perché son così gaudioso dopo l'uscita dal cinema? a volte ti rendono felice le banalità, i luoghi comuni, il già visto e sentito; purché siano presentati con gusto. a volte penso a emidio clementi: "perché siamo stanchi di novità"

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