domenica 3 gennaio 2010

Trilogia di new york, città di vetro (buon 2010)

Eccoci nel nuovo decennio. Tutto appare completamente diverso, non vi pare? (ma anche no). Una cosa soprattutto devo dirla. Tornato distrutto (ma felice per il bel capodanno passato) da roma, per la prima volta in vita mia ho riletto un romanzo dopo averlo già fatto una volta. Ho sempre avuto la politica del letto-una-volta-poi-basta. Ci sono talmente tanti romanzi da leggere e scoprire!, pensavo. Lo stesso per il cinema, anche se con meno rigidità. L'unica cosa che mi concedevo di rileggere erano i libri saggi, almeno in parte.
Dal primo gennaio 2010 la mia vita non è più la stessa, poiché il mio punto di vista sulla lettura e sulla rilettura è mutato radicalmente. Seduto su una poltroncina sgualcita del treno, durante l'interminabile tratta regionale, ho aperto il libro che mi ero portato appresso, con la copertina dove si vedono dei grattaceli sullo sfondo di un cielo plumbeo; e sono partito dal primo dei tre racconti. Evevo un ricordo vago di quel testo letto in realtà neanche troppo tempo prima. Ricordavo soprattutto l'atmosfera che creava: ipnotica e plumbea. Ricordavo l'intreccio molto contorto, ricordavo l'assenza di una trama lineare (e di una trama tout court) e nonostante ciò ricordavo che l'impatto emotivo era forte e la tensione cresceva, rigo dopo rigo. Ricordo l'economia delle parole, anche di quelle che portano fuori strada o che stanno in postille apparentemente non necessarie. A ben vedere niente è fuori posto. Ricordavo che ero stato come risucchiato dalle sue pagine, ero entrato in una dimensione priva di coordinate, in cui i miei pensieri erani quelli di Qinn (il protagonista), le mie azioni erano quelle di Qinn, e come lui perdevo pian piano la cognizione dello spazio e del tempo. Ricordavo che anche allora ero in treno. A volte il treno è il posto giusto. Ricordavo che anche quella volta, improvvisamente, alla fine del capitolo, avevo guardato l'orologio e mi ero stupito di come fosse già passata un'ora, avevo guardato fuori e mi ero stupito di come fossi già arrivato a Siena. Non sapevo di saper altro, su quel racconto.
Qinn scorda e ricorda, muta pelle ad ogni pagina, insegue con tutta l'anima uno scopo, con disciplina; ma un attimo dopo quello stesso scopo è nell'oblio. All'inizio siamo calati in un giallo intrigante, ma lentamente tutto si contorge e si sgretola e l'obiettivo di risolvere il caso diventa solo un lontano e confuso ricordo. Come facente parte di na vita precedente. Alla fine ci si perde e, allo stesso modo, si raggiunge quello che è in potenza indicato fin dall'inizio del libro come lo stato finale, quello che Stillman (il cattivo) ha vaneggiato come lo stato divino, in cui il linguaggio che usiamo è una cosa sola con le cose che esso indica.
So di aver scritto alla Ghezzi, cioè in maniera ermetica e autoreferenziale. Però invito non tanto a leggere quanto a rileggere questo racconto. E' curioso, ricordavo tutto, ma non sapevo d ricordare. E' stato piacevole scoprirlo con lo scorrere delle pagine.

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