Recentemente, per un motivo o per un altro, mi capita raramente di andare ai concerti. Però ne ho visto uno perfetto due settimane fa. I Vampire Weekend al Penelope di Barcelona. Un'ora e un quarto di musica all'interno di quel piccolo auditorio, piccolo ma con buona visione e buona acustica, circondato e stritolato da una marea di spettatori in festa (ah, da dire che gli spagnoli, o meglio i catalani, sono meno caciaroni ai concerti di noi altri). Equilibrio perfetto in scaletta, inizio di fuoco con Cousin, poi non ci si ferma più fino alla metà, quandi i nostri inseriscono quei due o tre pezzi un po' più tranquilli, per rifiatare noi e loro. Infine si torna a saltare e ballare nel finale, Horchata, A-Punk e compagnia bella. Bravi, coinvolgenti, simpatici. Poi effettivamente è facile quando nel tuo repertorio non c'è un pezzo che non sia carino.
Due ultie cose. Uno: finalmente ho scoperto qual è il loro disco migliore, basandomi solo sulle sensazioni di pancia eh, e per niente affatto su sofismi da critico musicale: il primo. Due: avevo il dubbio, non è che adesso che hanno tutto sto successo che sembrano gli U2 diventeranno snob e paraculo? Date un occhiata al video (rumors dicono che sia vero)
mercoledì 10 marzo 2010
venerdì 19 febbraio 2010
Giovani puritani crescono
These new Puritans. Li ho visti un paio di anni fa, una bella combriccola di adolescenti brufolosi alle prese con un post-punk un po' logoro già a quei tempi, ma dall'impatto sonico notevole e tutt'altro che privo di originalità. Cavolo questi a sedici anni già ti tirano fuori una roba di questo spessore, il mio giudizio dopo il concerto. E eccoli di nuovo, due anni dopo. Prima di ascoltae la loro nuova fatica, Hidden, penso: finalmente anche loro avranno raggiuto i diciotto anni e, visto che meglio di come hanno fatto con Beat Pyramid, il lavoro preceddente, in pochi riescono a farlo, se dio vuole assumeranno ai miei occhi sembianze più umane, e la mia invida da rocker mancato sarà un po' attenuata. Mai aspettativa fu tanto fallace. Hidden è uno dei lavori più interessanti di questo inizio 2010 che mostra come i nostri, in quanto a composizione, non son secondi a nessuno. Perché, e già è l'intro a metterci in guardia, per quanto si possa essere increduli, i primi riferimenti sono alla musica classica. Non che la cornice sia questa, (la cornice direi che può benissimo essere anche qui la recente piega elettronica-psichedelica-new wave che hanno preso formazioni come Animal Collective, Atlas Sound e Yeasayer, per dirne alcune) ad ogni modo archi, fiati e campionatori si intrecciano spesso dando vita a evoluzioni e sovrapposizioni che solo chi conosce bene i ferri del mestiere riesce a ottenere. Poi ci sono le percussioni tese e ossessive, il dub, la voce alienata (si descrive da sola: my words evaporate,), altri coretti da messa nera sovraincisi e i synth alla Cocteau Twins che finiscono spesso per mettere l'accento su ciò che manca più che su ciò che è presente. Come scrive Aurelio Pasini sul Mucchio: sebbene non più post punk nella forma, rimane nell'attitudine. Un disco dark aggiornato all'anno corrente. Un'operazione intelligente che di recente forse hanno fatto solo gli XX ma con un risultato, a mio modesto parere, moscio e scadente (e so che molti non condividono). I These new puritans tra due anni, ventenni? a suonare con Ligeti. I giovani d'oggi crescono troppo in fretta
Carino il video
Carino il video
mercoledì 17 febbraio 2010
La meglio Gioventù secondo gli americani
E' di oggi la notizia che il film La Meglio Gioventù è nella classifica di Newsweek tra i dieci migliori film del decennio. Precisamente al quinto posto. Io, personalmente, sono d'accordo. C'è da dire che la classifica pare un riconoscimento postumo ad alcuni film di nicchia che, anche se di valore notevole, vengono solitamente snobbati quando si va a scrivere la storia del cinema: non sono infatti presenti all'interno della classifica i nomi classici che quasi sempre compaiono e che mettono d'accordo pubblico e critica (mi vengono in mente Mullholland Drive, il Pianista o il Signore degli Anelli). Troviamo invece lavori come Y tu mama tambien, Yi yi, Togheter, film che sento nominare per la prima volta e che spero avrò modo di vedere (dei dieci della lista ne ho visti la metà!). Bella idea quella di pescare tra i film semisconosciuti e di dar loro la dovuta attenzione. Se poi sono tutti al livello de La Meglio Gioventù, mi sono perso un bel pezzo della creme della produzione anni zero. Perché il film italiano, anzi la fiction italiana (come lo è Don Matteo, teniamolo presente), sottoscrivo in pieno, è un capolavoro. Sei ore di epopea di una famiglia romana che si trova, in un modo o nell'altro, a vivere le vicende italiane che hanno maggirmente segnato la storia dal dopoguerra fino al passaggio di secolo. Personaggi quasi mitologici, tutti a loro modo eroici. Tutto il meglio della nostra storia e anche il peggio, a cui però viene concesso l'onore delle armi. Forse un po' retorico a conti fatti, ma va bene così. Quando, dopo sei ore di film, ti trovi, mentre stai guardando i titoli di coda, a pensare: "ancora, ancora!", dopo esserti innamorato dei personaggi, dopo aver sofferto e gioito con loro, quando quasi quasi ti senti fiero di essere italiano... allora il film, come solo il grande cinema sa fare, è riuscito a fregarti alla grande. E si merita un quinto posto su Newsweek
lunedì 15 febbraio 2010
mercoledì 10 febbraio 2010
A seriuos (man) post
Non li ho mai venerati. Due loro film li ho amati molto, è vero (Il grande Lebowski e Burn after reading), ma il resto della loro produzione, quella più chiacchierata, non mi ha fatto emozionare più di tanto. Anche Non è n paese per vecchi, unanimemente considerato un capolavoro assoluto, sebbene non mi sia alla fine dispiaciuto, non mi ha comunque mai fatto venir voglia, per dire, di vederlo di nuovo. E invece oggi, dopo la loro ultima fatica, posso dirmi convinto proselita dei fratelli Joel e Ethan Cohen. Entrato al cinema senza troppe aspettative (o meglio connesso a Megavideo senza troppe aspettative) ho visto davanti a me prender vita una vicenda talmente ben raccontata, che non esito a paragonarla ad altre opere mitiche, quelle che, anche se appartengono ad un'era ben precisa, allo stesso tempo raccontano storie e copioni universali, tipo la divina commedia, romeo e giulietta o la bibbia. Autosuggestione, direte. Forse. Ma insomma diamoli questi 30 e lode se ci si presenta l'occasione!
A serious man (sto parlando di questo film per chi non lo avesse ancora capito) è il Film (F maiuscola) sull'ansia. Detto che dovrebbero mettere obbligatoria la sua proiezione in ogni facoltà di psicologia, questo film è una descrizione in celluloide perfetta dello stato d'animo di chi vede crollare senza preavviso i propri punti di riferimento, di chi perde la mappa per orientarsi nel mondo. E' la storia di come tali punti di riferimento e mappa siano costruiti con un materiale troppo povero e troppo rigido per resistere al continuo fluire della vita e della morte. E qual è il risultato? Due sono gli effetti descritti dai due fratelli registi. Effetti opposti, ma l'uno non esclude l'altro, anzi i due vanno in parallelo per tuttto il film. E' il punto di vista di chi guarda, non di chi racconta, che oscilla tra i due effetti: tragedia e commedia. Il goffo e ridicolo affanno, che è l'unica cosa che ottiene il protagonista nel disperato tentativo di ricostruire l'antica mappa distrutta, può essere la cosa più divertente oppure la cosa più triste e penosa, dipende.
Questo è l'universale. Però, come la divina commedia ci parla sì di virtute e di peccato ma anche della Firenze dell'inizio del 300, anche A serious man è incarnato in un contesto ben preciso. Non è un caso che ci troviamo in una provincia americana, all'interno di una nutrita e bigotta comunità ebraica, a cavallo tra gli anni sessanta e i settanta. Difficile immaginare uno scenario in cui l'opposizione tra l'apollineo (i precetti religiosi, la vita matrimoniale, il rispetto del mos majiorum, i canti in yiddish, la matematica, la generazione nata prima della guerra) e il dionisiaco (il divorzio, la droga, la libidine, il rock'n'roll, i babyboomers) sia più radicale. Finché poi, nel finale, l'apollineo capitola definitivamente quando il terzo rabbino, somma autorità morale, ci svela il significato della vita pronunciando le fatidiche parole: when the truth is found to be lies and all the joy within you dies. Citando Somebody to love dei Jafferson Airplane (altro che Torah).
Dicono che il film sia autobiografico.
A serious man (sto parlando di questo film per chi non lo avesse ancora capito) è il Film (F maiuscola) sull'ansia. Detto che dovrebbero mettere obbligatoria la sua proiezione in ogni facoltà di psicologia, questo film è una descrizione in celluloide perfetta dello stato d'animo di chi vede crollare senza preavviso i propri punti di riferimento, di chi perde la mappa per orientarsi nel mondo. E' la storia di come tali punti di riferimento e mappa siano costruiti con un materiale troppo povero e troppo rigido per resistere al continuo fluire della vita e della morte. E qual è il risultato? Due sono gli effetti descritti dai due fratelli registi. Effetti opposti, ma l'uno non esclude l'altro, anzi i due vanno in parallelo per tuttto il film. E' il punto di vista di chi guarda, non di chi racconta, che oscilla tra i due effetti: tragedia e commedia. Il goffo e ridicolo affanno, che è l'unica cosa che ottiene il protagonista nel disperato tentativo di ricostruire l'antica mappa distrutta, può essere la cosa più divertente oppure la cosa più triste e penosa, dipende.
Questo è l'universale. Però, come la divina commedia ci parla sì di virtute e di peccato ma anche della Firenze dell'inizio del 300, anche A serious man è incarnato in un contesto ben preciso. Non è un caso che ci troviamo in una provincia americana, all'interno di una nutrita e bigotta comunità ebraica, a cavallo tra gli anni sessanta e i settanta. Difficile immaginare uno scenario in cui l'opposizione tra l'apollineo (i precetti religiosi, la vita matrimoniale, il rispetto del mos majiorum, i canti in yiddish, la matematica, la generazione nata prima della guerra) e il dionisiaco (il divorzio, la droga, la libidine, il rock'n'roll, i babyboomers) sia più radicale. Finché poi, nel finale, l'apollineo capitola definitivamente quando il terzo rabbino, somma autorità morale, ci svela il significato della vita pronunciando le fatidiche parole: when the truth is found to be lies and all the joy within you dies. Citando Somebody to love dei Jafferson Airplane (altro che Torah).
Dicono che il film sia autobiografico.
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sabato 6 febbraio 2010
Vampire Weekend, Antlers, Bear In Heaven, Local Natives. Poker
Parlimo un po' di musica, che di recente ho ascoltato alcune cose con tempo e attenzione sufficente per scriverne.
Uno dei dischi che più mi godo in questi giorni è Contra dei Vampire Weekend. Per me era impensabile l'idea di poter amare così un disco tanto ska, reggae, afro (e chissà cos'altro!) quanto poco rock. Loro invece ci sono riusciti. E lo hanno già fatto con il precedente, uscito nel 2008, album omonimo (che comunque è più vicino a sonorità indie classiche rispetto al successivo). Meglio quest'ultimo o Contra? Oggi, non c'è dubbio, i quattro osano di più. Comunque sarà il tempo a dirlo, al momento non mi sbilancio. Il mio pezzo preferito è Run, e ha anche un testo carino.
Altro disco che sto consumando con voracità è Hospice degli Antlers, uscito qualche mese fa per la Frenchkiss. Per me uno dei migliori dello scorso anno. Sono andato a leggermi interviste, recenzioni, commenti e lyrics con una curiosità che non avevo da tempo per un disco. Lo dico subito, Hospice è uno strazio. Se siete tra quelli che non vanno al cinema perché l'amico ha detto che il film è bello, sì, ma anche triste, o tra quelli che, quando la radio manda un pezzo dei cure, cambiano stazione, allora tenetevi lontani da questo LP, ma molto lontani. Hospice è un concept dove il cantante e compositore Silberman ci accompagna, traccia dopo traccia, verso un'esperienza di dolore e di perdita, perdita di sé, dell'altro e insomma della terra sotto i piedi, dovuta alla condivisione con la persona amata della malattia terminale di quest'ultima. Da qui il titolo, Hospice, luogo dove i moribondi sono accompagnati verso gli ultimi momenti. La musica mantiene costante la tenzione, oscillando con sapienza tra crescendi showgaze e post rock da un lato e accordi di chitarra folk sussurrati (a me sono venuti in mente sia gli M83 e i sigur ros sia Bon Iver). La voce androgena si confonde con il riverbero degli strumenti, ma andando a leggere le liriche ci si accorge di quanto i testi siano belli, la giusta controparte della musica che li accompagna. Il risultato che ne viene fuori è davvero un'efficacie rappresentazione del dolore e della sua condivisione (e il primo singolo, Two, è uno dei momenti più ispirati).
Altri due dischi che consiglio sono Beast Rest Forth Mouth dei Bear in Heaven e Gorilla Manor dei Local Natives. Psichedelico e drone il primo, neofolk alla Fleet Foxes e Dodos (che mi sono piciuti meno) il secondo. Non male davvero.
Uno dei dischi che più mi godo in questi giorni è Contra dei Vampire Weekend. Per me era impensabile l'idea di poter amare così un disco tanto ska, reggae, afro (e chissà cos'altro!) quanto poco rock. Loro invece ci sono riusciti. E lo hanno già fatto con il precedente, uscito nel 2008, album omonimo (che comunque è più vicino a sonorità indie classiche rispetto al successivo). Meglio quest'ultimo o Contra? Oggi, non c'è dubbio, i quattro osano di più. Comunque sarà il tempo a dirlo, al momento non mi sbilancio. Il mio pezzo preferito è Run, e ha anche un testo carino.
Altro disco che sto consumando con voracità è Hospice degli Antlers, uscito qualche mese fa per la Frenchkiss. Per me uno dei migliori dello scorso anno. Sono andato a leggermi interviste, recenzioni, commenti e lyrics con una curiosità che non avevo da tempo per un disco. Lo dico subito, Hospice è uno strazio. Se siete tra quelli che non vanno al cinema perché l'amico ha detto che il film è bello, sì, ma anche triste, o tra quelli che, quando la radio manda un pezzo dei cure, cambiano stazione, allora tenetevi lontani da questo LP, ma molto lontani. Hospice è un concept dove il cantante e compositore Silberman ci accompagna, traccia dopo traccia, verso un'esperienza di dolore e di perdita, perdita di sé, dell'altro e insomma della terra sotto i piedi, dovuta alla condivisione con la persona amata della malattia terminale di quest'ultima. Da qui il titolo, Hospice, luogo dove i moribondi sono accompagnati verso gli ultimi momenti. La musica mantiene costante la tenzione, oscillando con sapienza tra crescendi showgaze e post rock da un lato e accordi di chitarra folk sussurrati (a me sono venuti in mente sia gli M83 e i sigur ros sia Bon Iver). La voce androgena si confonde con il riverbero degli strumenti, ma andando a leggere le liriche ci si accorge di quanto i testi siano belli, la giusta controparte della musica che li accompagna. Il risultato che ne viene fuori è davvero un'efficacie rappresentazione del dolore e della sua condivisione (e il primo singolo, Two, è uno dei momenti più ispirati).
Altri due dischi che consiglio sono Beast Rest Forth Mouth dei Bear in Heaven e Gorilla Manor dei Local Natives. Psichedelico e drone il primo, neofolk alla Fleet Foxes e Dodos (che mi sono piciuti meno) il secondo. Non male davvero.
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lunedì 25 gennaio 2010
Metapost (post sui post in cui parlo di post e di pre-post)
Sono passati alcuni giorni dall'ultimo post e vedo, non con sorpresa, che questo blog continuo a scrivermelo e a leggermelo. E, devo ammetterlo, tutto sommato questo non è un gran problema. Sarei felice se qualcuno lo leggesse, certo, e, poi, se vedessi che qualcuno ha pure commentato, stapperei una bottiglia di spumante. Ma bisogna rimanere con i piedi per terra. Cominciare a scrivere un blog nel 2010, quando ormai chi doveva farlo l'ha già fatto, quando molti addirittura stanno abbandonando, quando è molto più cool presenziare su piattaforme come facebook e twitter, cominciare da zero di questi tempi è davvero difficile.
Non sono mai stato un geek (devo cominciare anch'io a utilizzare inutili parole anglofone, fa figo). Non che in astratto la rete, la tecnologia, i new media non mi affascinassero. Anzi, sono sempre stato un aspirante geek. Cazzo internet è il futuro, cazzo che figata fare questo o quest'altro al computer! Comincia la rivoluzione! poi però dopo dieci minuti mi stancavo. Un gran mal di testa e il senso di inanità improvvisamente si impadroniva di me. E poi guarda fiori che sole! Cavolo posso chiamare un amico e andiamo a prendere un caffé. Lì c'è un amplificatore e una chitarra, che facciamo perdiamo altro tempo? Ho sempre continuato a comprare la copia cartacea di Repubblica. Anche anche uno come Trotsky avrebbe avuto qualche problema in più oggi.
Mentalità novecentesca. Metabilismo lento incompatibile con la rapidità di oggi, per cui se un pomeriggio vai a fare una passeggiata sei già fuori dal mondo della rete. Alla fine l'ho sempre vissuta un po' così, col fiatone, sta rivoluzione telematica. Oscillante tra l'affermazione "questi sono tutti scemi" e la domanda "ma dove vivo? sulla luna?".
Poi un giorno la mia vita reale, che con i suoi alti e bassi aveva più o meno sempre avuto un capo una coda, improvvisamente si è ritrovata senza questi. Non che sia una condizione dolorosa e neppure una condizione vuota. Anzi, e sono io il primo a stupirmene, è una condizione tutto sommato piacevole. Tant'è che, privato di alternative reali a portata di mano, mi è venuto naturale passare i pomeriggi davanti a sto coso rettangolare di plastica grigia pesante 4 chili. Il mal di testa rimane, ma apparte questo è devvaro divertente. Ed eccomi a scrivere un post che avrebbe avuto un suo perché cinque o sei anni fa (tradotto con la moneta corrente: molte ere fa), mentre oggi sembra uno scritto dell'Egitto protodinastico in cui si elogiano le fantastiche possibilità offerte dalla nuova tecnica del papiro. Spero che gli archeologi apprezzino
Non sono mai stato un geek (devo cominciare anch'io a utilizzare inutili parole anglofone, fa figo). Non che in astratto la rete, la tecnologia, i new media non mi affascinassero. Anzi, sono sempre stato un aspirante geek. Cazzo internet è il futuro, cazzo che figata fare questo o quest'altro al computer! Comincia la rivoluzione! poi però dopo dieci minuti mi stancavo. Un gran mal di testa e il senso di inanità improvvisamente si impadroniva di me. E poi guarda fiori che sole! Cavolo posso chiamare un amico e andiamo a prendere un caffé. Lì c'è un amplificatore e una chitarra, che facciamo perdiamo altro tempo? Ho sempre continuato a comprare la copia cartacea di Repubblica. Anche anche uno come Trotsky avrebbe avuto qualche problema in più oggi.
Mentalità novecentesca. Metabilismo lento incompatibile con la rapidità di oggi, per cui se un pomeriggio vai a fare una passeggiata sei già fuori dal mondo della rete. Alla fine l'ho sempre vissuta un po' così, col fiatone, sta rivoluzione telematica. Oscillante tra l'affermazione "questi sono tutti scemi" e la domanda "ma dove vivo? sulla luna?".
Poi un giorno la mia vita reale, che con i suoi alti e bassi aveva più o meno sempre avuto un capo una coda, improvvisamente si è ritrovata senza questi. Non che sia una condizione dolorosa e neppure una condizione vuota. Anzi, e sono io il primo a stupirmene, è una condizione tutto sommato piacevole. Tant'è che, privato di alternative reali a portata di mano, mi è venuto naturale passare i pomeriggi davanti a sto coso rettangolare di plastica grigia pesante 4 chili. Il mal di testa rimane, ma apparte questo è devvaro divertente. Ed eccomi a scrivere un post che avrebbe avuto un suo perché cinque o sei anni fa (tradotto con la moneta corrente: molte ere fa), mentre oggi sembra uno scritto dell'Egitto protodinastico in cui si elogiano le fantastiche possibilità offerte dalla nuova tecnica del papiro. Spero che gli archeologi apprezzino
Da treanniorsono |
lunedì 11 gennaio 2010
Craxi santo subito
Eccomi appena tornato dalla visione, condivisa con amici, della 'storia siamo noi'. titolo della puntata: "Craxi, una storia italiana". Commenta un amico: "vediamo che ci dicono. Mi sembra che 'la storia siamo noi' sia una trasmissione abbastanza imparziale, di quelle che cercano di riportare i fatti e di dare spazo un po' a tutti i punti di vista, no?". Saggio il mo amico. Tutti assolutamente d'accordo. Con questa aspettativa e con una pizza surgelata scaldata per l'occasione e farcita di porri e melanzane, ci accingiamo a vedere la trasmissione. Noi in quegli anni eravamo bambini. Ma ecco che la rai svolge la sua funzione educativa, ecco che racconta alle nuove generazioni come è andata la storia, in modo che gli errori del passato non vengano ripetuti e che le cose buone diventino invece riferimento ed ispirazione. Per noi giovani. La storia siamo noi.
Morale della favola: due ore per dirci che Craxi, sul modello di Gesù Cristo, ha salvato l'Italia e, sempre come Gesù Cristo, è stato martire. Sempre per il popolo italiano, l'ingrato popolo italiano. Ha modernizzato il paese, lo ha salvato dall'inflazione, ha tenuto stretti i rapporti con le forze politiche mondiali più evolute. Ha precorso sempre la storia. Troppo al dì là con lo sguardo. Mai un errore. Se non quello, quado stava per essere indagato per tangenti, di essere stato troppo sincero nel dire in soldoni: "chi è senza peccato scagli la prima pietra (sempre come nostro Signore).
Ora io non sono uno storico né uno studente di storia, né, come ho detto, ero consapevole in quegli anni di cosa succedesse nel panorama politico italiano. Avevo sì e no 10 anni. Per cui, come la stragrande maggioranza dei miei coetanei, non posso far altro che credere a quello che Minoli ha raccontato in quel documentario. Cavolo, persino Dalema ha voluto i funerali di stato alla morte di Craxi!
Eppure qualcosa non torna. Allora ci mettiamo a cercare su internet e c'è qualcuno, sicuramente un terrorista, o un congiurato, oppure, viste le similitudini tra Craxi e Gesù, il diavolo in persona, che riporta i fatti in modo un po' diverso. Anzi, sembra si parli di un'altra persona. Però questo diavolo sembra portare argomenti convincenti: il debito pubblico cresciuto a livello esponenziale, i conti esteri segreti personali (e non di partito), dove arrivavano tangenti (anche di Berlusconi), la gestione torbida delle alleanze politiche (il CAF), il clientelismo, la tracotanza sfacciata. eccetera eccetera eccetera.
Possibile che tutti, Pd, Pdl, lega, UDC, quasi tutto il giornalismo italiano e chi più ne ha più ne metta (tutti a dirci che Craxi è un santo), tutti ci prendano per il culo così? No, cribbio! Il diavolo si sa, è bravo come tentatore. E per un attimo siamo tentati di credergli.
Ma un attimo dura un attimo. Per cui subito dopo ci riprendiamo dal torpore e spegniamo disgustati la rete. Accendiamo rai 1. E c'è Vespa che, come ogni sera, ci rassicura con quella faccia da adone e ci racconta di nuovo la buona novella. E' lì che ci guardiamo con occhi complici. Gli occhi di quando sai che anche gli altri stanno pensando la stessa cosa che tu stai pensando. Ci guardiamo con occhi complici e gridare in coro a quel punto è naturale: "Craxi santo subito! Craxi santo subito!
Morale della favola: due ore per dirci che Craxi, sul modello di Gesù Cristo, ha salvato l'Italia e, sempre come Gesù Cristo, è stato martire. Sempre per il popolo italiano, l'ingrato popolo italiano. Ha modernizzato il paese, lo ha salvato dall'inflazione, ha tenuto stretti i rapporti con le forze politiche mondiali più evolute. Ha precorso sempre la storia. Troppo al dì là con lo sguardo. Mai un errore. Se non quello, quado stava per essere indagato per tangenti, di essere stato troppo sincero nel dire in soldoni: "chi è senza peccato scagli la prima pietra (sempre come nostro Signore).
Ora io non sono uno storico né uno studente di storia, né, come ho detto, ero consapevole in quegli anni di cosa succedesse nel panorama politico italiano. Avevo sì e no 10 anni. Per cui, come la stragrande maggioranza dei miei coetanei, non posso far altro che credere a quello che Minoli ha raccontato in quel documentario. Cavolo, persino Dalema ha voluto i funerali di stato alla morte di Craxi!
Eppure qualcosa non torna. Allora ci mettiamo a cercare su internet e c'è qualcuno, sicuramente un terrorista, o un congiurato, oppure, viste le similitudini tra Craxi e Gesù, il diavolo in persona, che riporta i fatti in modo un po' diverso. Anzi, sembra si parli di un'altra persona. Però questo diavolo sembra portare argomenti convincenti: il debito pubblico cresciuto a livello esponenziale, i conti esteri segreti personali (e non di partito), dove arrivavano tangenti (anche di Berlusconi), la gestione torbida delle alleanze politiche (il CAF), il clientelismo, la tracotanza sfacciata. eccetera eccetera eccetera.
Possibile che tutti, Pd, Pdl, lega, UDC, quasi tutto il giornalismo italiano e chi più ne ha più ne metta (tutti a dirci che Craxi è un santo), tutti ci prendano per il culo così? No, cribbio! Il diavolo si sa, è bravo come tentatore. E per un attimo siamo tentati di credergli.
Ma un attimo dura un attimo. Per cui subito dopo ci riprendiamo dal torpore e spegniamo disgustati la rete. Accendiamo rai 1. E c'è Vespa che, come ogni sera, ci rassicura con quella faccia da adone e ci racconta di nuovo la buona novella. E' lì che ci guardiamo con occhi complici. Gli occhi di quando sai che anche gli altri stanno pensando la stessa cosa che tu stai pensando. Ci guardiamo con occhi complici e gridare in coro a quel punto è naturale: "Craxi santo subito! Craxi santo subito!
giovedì 7 gennaio 2010
Spagna, paese di barbari
Avviso subito che sto per raccontare delle barbare e mostruose pratiche perpetrate da un popolo, e di come queste pratiche appiano, agli occhi dei membri del suddetto popolo, come comportamenti assolutamente comuni, normali e financo in linea con l'etica. So che questo urterà la sensibilità evoluta dell'uomo e della donna d'Italia, che, ahimé, sappiamo essere uno degli ultimi bastioni di civiltà rimasti.
Ma andiamo con ordine. Di recente mi è capitato di incontrare una cara amica spagnola, di barcellona. Eravamo seduti ad un tavolo e la conversazione scivolava liscia e piacevole tra vari argomenti; finché questa non comnincia a parlarmi dei suoi amici. Mi dice di Marta che è architetto, così come Andrea e Stivalis, di Anna che è psicologa, e ha altre 4 amiche psicologhe e altrettante invece che sono avvocatesse, tra cui Giorgia. All'inizio ero rilassato, ma poi mi irrigidisco sospettoso e chiedo: "ma tu hai amici e amiche soltanto di una certa età?"
"No, perché questa domanda? Marta ha 27 anni e Stivalis 28, come Anna del resto.. direi che siamo tutte tra i 25 e i 30". Avete capito bene: tra i 25 e i 30. Questa nazione di mostri e barbari che è la Spagna fa accupare le cariche professionali di maggiore responsabilità, quelle che determinano il benessere e il buon funzionamento della società, i medici, gli avvocati, gli architetti, gli psicologi, gli insegnanti, i funzionari, gli educatori, la Spagna fa fare questi lavori agli adolescenti. A quelli che stanno attraversando gli anni in cui, finita l'univerità, ci si affaccia timidamente, pieni di incertezze e di timori, al mondo ambiguo e contraddittorio dell'adolescenza: i venticinque-trentenni. Alla scoperta della sessualità, ancora incerto della propria identità, attratto e repulso al contempo dalla progettualità propria della vita adulta, questi spagnoli ti prendono e ti sbattono immediatamente nelle più importanti cariche lavorative. E lo fanno con una spudoratezza! come se fosse una cosa ovvia. Io, come voi, da buon conoscitore della progredita realtà italiana, so bene come sia giusto non pensare neppure di cominciare prima dei cinquanta-sessanta anni a intraprendere queste attività, e come sia praticamente impossibile farle bene prima dei settanta. Ho guardato la mia amica con gli occhi strabuzzati, incredulo di cotanta depravazione. Ma il bello è che lei (professoressa di catalano, tra l'altro; a 28 anni, che barbarie!), invece, sembrava convinta di avere detto la cosa più banale di questo mondo.
Ma proseguiamo. Allora ho chiesto: "ok... ma per fare questo tipo di lavori, che percorso avete fatto?"
"bè, gli architetti l'università di architettura, gli avvocati giurisprudenza, io, che insegno catalano, lettere.."
No. Vergogna! capovolgimento del buon senso! Depravazione morale e deprecazione di tutte le leggi divine, le quali, così limpide, non lasciano spazio a misinterpretazione! A cosa la malizia dell'uomo può arrivare! Architettura per gli architetti, giurisprudenza per gli avvocati, lettere per gli insegnanti. Assurdo. Tutti noi italiani sappiamo che, come logica vuole, ti iscrivi ad architettura per due motivi: stare a cazzeggiare sei o sette anni e dopo lavorare come agricoltore, o fattorino, o commesso, o operatore ecologico. E ti iscrivi a giurisprudenza per fare il commerciante di pesce, il camionista o, al massimo, per aprire una lavanedria. In Spagna no: architettira architetto, giurisprudenza avvocato, lettere professore. Assurdo. Contorto.
Allora con il volto pieno di orrore, trattenendo a stento il vomito, la incalzo: "ok... ma dopo l'università quanti master, corsi di formazione, scuole di specializzazione, esami di stato, stage, tirocini retribuiti, non retribuiti, praticantati, lavoretti cococo, riqualificazioni professionali, seminari, workshop ecc avete fatto?"
"Como? non ho capito bene... ma provo a risponderti: dopo la laurea, cerchi finché, passato non più di qualche mese, trovi qualcuno che ti prende. Massimo un anno di prova e, se sai fare il tuo lavoro, sei assunto". ciliegina sulla torta. Ti fanno lavorare anche impreparato. Ti privano di quello che, come sappiamo, in italia è il fiore all'occhiello del sistema: la formazione post laurea.
Insomma, ho fatto presto in modo di parlare di altro. Ho controllato il mio disgusto e ho tergiversato, tornando a discorrere di musica. La mia amica non avrebbe capito. Culture troppo distanti. So che per noi sono cose incredibili. Ma dobbiamo cercare di capirle. Quando l'uomo è arrivato sulla terra non c'era la civiltà così come la conosciamo oggi. La civiltà è nata paino piano, con l'impegno e lo sforzo congiunto di tutti. Come ci ricordano i nostri nonni, fino a non molto tempo fa anche l'Italia -e oggi è difficile da credere- era un paese di barbari, come la Spagna.
PS: morale della favola: leviamoci dai coglioni, leviamoci dai coglioni finché non siamo morti del tutto
Ma andiamo con ordine. Di recente mi è capitato di incontrare una cara amica spagnola, di barcellona. Eravamo seduti ad un tavolo e la conversazione scivolava liscia e piacevole tra vari argomenti; finché questa non comnincia a parlarmi dei suoi amici. Mi dice di Marta che è architetto, così come Andrea e Stivalis, di Anna che è psicologa, e ha altre 4 amiche psicologhe e altrettante invece che sono avvocatesse, tra cui Giorgia. All'inizio ero rilassato, ma poi mi irrigidisco sospettoso e chiedo: "ma tu hai amici e amiche soltanto di una certa età?"
"No, perché questa domanda? Marta ha 27 anni e Stivalis 28, come Anna del resto.. direi che siamo tutte tra i 25 e i 30". Avete capito bene: tra i 25 e i 30. Questa nazione di mostri e barbari che è la Spagna fa accupare le cariche professionali di maggiore responsabilità, quelle che determinano il benessere e il buon funzionamento della società, i medici, gli avvocati, gli architetti, gli psicologi, gli insegnanti, i funzionari, gli educatori, la Spagna fa fare questi lavori agli adolescenti. A quelli che stanno attraversando gli anni in cui, finita l'univerità, ci si affaccia timidamente, pieni di incertezze e di timori, al mondo ambiguo e contraddittorio dell'adolescenza: i venticinque-trentenni. Alla scoperta della sessualità, ancora incerto della propria identità, attratto e repulso al contempo dalla progettualità propria della vita adulta, questi spagnoli ti prendono e ti sbattono immediatamente nelle più importanti cariche lavorative. E lo fanno con una spudoratezza! come se fosse una cosa ovvia. Io, come voi, da buon conoscitore della progredita realtà italiana, so bene come sia giusto non pensare neppure di cominciare prima dei cinquanta-sessanta anni a intraprendere queste attività, e come sia praticamente impossibile farle bene prima dei settanta. Ho guardato la mia amica con gli occhi strabuzzati, incredulo di cotanta depravazione. Ma il bello è che lei (professoressa di catalano, tra l'altro; a 28 anni, che barbarie!), invece, sembrava convinta di avere detto la cosa più banale di questo mondo.
Ma proseguiamo. Allora ho chiesto: "ok... ma per fare questo tipo di lavori, che percorso avete fatto?"
"bè, gli architetti l'università di architettura, gli avvocati giurisprudenza, io, che insegno catalano, lettere.."
No. Vergogna! capovolgimento del buon senso! Depravazione morale e deprecazione di tutte le leggi divine, le quali, così limpide, non lasciano spazio a misinterpretazione! A cosa la malizia dell'uomo può arrivare! Architettura per gli architetti, giurisprudenza per gli avvocati, lettere per gli insegnanti. Assurdo. Tutti noi italiani sappiamo che, come logica vuole, ti iscrivi ad architettura per due motivi: stare a cazzeggiare sei o sette anni e dopo lavorare come agricoltore, o fattorino, o commesso, o operatore ecologico. E ti iscrivi a giurisprudenza per fare il commerciante di pesce, il camionista o, al massimo, per aprire una lavanedria. In Spagna no: architettira architetto, giurisprudenza avvocato, lettere professore. Assurdo. Contorto.
Allora con il volto pieno di orrore, trattenendo a stento il vomito, la incalzo: "ok... ma dopo l'università quanti master, corsi di formazione, scuole di specializzazione, esami di stato, stage, tirocini retribuiti, non retribuiti, praticantati, lavoretti cococo, riqualificazioni professionali, seminari, workshop ecc avete fatto?"
"Como? non ho capito bene... ma provo a risponderti: dopo la laurea, cerchi finché, passato non più di qualche mese, trovi qualcuno che ti prende. Massimo un anno di prova e, se sai fare il tuo lavoro, sei assunto". ciliegina sulla torta. Ti fanno lavorare anche impreparato. Ti privano di quello che, come sappiamo, in italia è il fiore all'occhiello del sistema: la formazione post laurea.
Insomma, ho fatto presto in modo di parlare di altro. Ho controllato il mio disgusto e ho tergiversato, tornando a discorrere di musica. La mia amica non avrebbe capito. Culture troppo distanti. So che per noi sono cose incredibili. Ma dobbiamo cercare di capirle. Quando l'uomo è arrivato sulla terra non c'era la civiltà così come la conosciamo oggi. La civiltà è nata paino piano, con l'impegno e lo sforzo congiunto di tutti. Come ci ricordano i nostri nonni, fino a non molto tempo fa anche l'Italia -e oggi è difficile da credere- era un paese di barbari, come la Spagna.
PS: morale della favola: leviamoci dai coglioni, leviamoci dai coglioni finché non siamo morti del tutto
domenica 3 gennaio 2010
Trilogia di new york, città di vetro (buon 2010)
Eccoci nel nuovo decennio. Tutto appare completamente diverso, non vi pare? (ma anche no). Una cosa soprattutto devo dirla. Tornato distrutto (ma felice per il bel capodanno passato) da roma, per la prima volta in vita mia ho riletto un romanzo dopo averlo già fatto una volta. Ho sempre avuto la politica del letto-una-volta-poi-basta. Ci sono talmente tanti romanzi da leggere e scoprire!, pensavo. Lo stesso per il cinema, anche se con meno rigidità. L'unica cosa che mi concedevo di rileggere erano i libri saggi, almeno in parte.
Dal primo gennaio 2010 la mia vita non è più la stessa, poiché il mio punto di vista sulla lettura e sulla rilettura è mutato radicalmente. Seduto su una poltroncina sgualcita del treno, durante l'interminabile tratta regionale, ho aperto il libro che mi ero portato appresso, con la copertina dove si vedono dei grattaceli sullo sfondo di un cielo plumbeo; e sono partito dal primo dei tre racconti. Evevo un ricordo vago di quel testo letto in realtà neanche troppo tempo prima. Ricordavo soprattutto l'atmosfera che creava: ipnotica e plumbea. Ricordavo l'intreccio molto contorto, ricordavo l'assenza di una trama lineare (e di una trama tout court) e nonostante ciò ricordavo che l'impatto emotivo era forte e la tensione cresceva, rigo dopo rigo. Ricordo l'economia delle parole, anche di quelle che portano fuori strada o che stanno in postille apparentemente non necessarie. A ben vedere niente è fuori posto. Ricordavo che ero stato come risucchiato dalle sue pagine, ero entrato in una dimensione priva di coordinate, in cui i miei pensieri erani quelli di Qinn (il protagonista), le mie azioni erano quelle di Qinn, e come lui perdevo pian piano la cognizione dello spazio e del tempo. Ricordavo che anche allora ero in treno. A volte il treno è il posto giusto. Ricordavo che anche quella volta, improvvisamente, alla fine del capitolo, avevo guardato l'orologio e mi ero stupito di come fosse già passata un'ora, avevo guardato fuori e mi ero stupito di come fossi già arrivato a Siena. Non sapevo di saper altro, su quel racconto.
Qinn scorda e ricorda, muta pelle ad ogni pagina, insegue con tutta l'anima uno scopo, con disciplina; ma un attimo dopo quello stesso scopo è nell'oblio. All'inizio siamo calati in un giallo intrigante, ma lentamente tutto si contorge e si sgretola e l'obiettivo di risolvere il caso diventa solo un lontano e confuso ricordo. Come facente parte di na vita precedente. Alla fine ci si perde e, allo stesso modo, si raggiunge quello che è in potenza indicato fin dall'inizio del libro come lo stato finale, quello che Stillman (il cattivo) ha vaneggiato come lo stato divino, in cui il linguaggio che usiamo è una cosa sola con le cose che esso indica.
So di aver scritto alla Ghezzi, cioè in maniera ermetica e autoreferenziale. Però invito non tanto a leggere quanto a rileggere questo racconto. E' curioso, ricordavo tutto, ma non sapevo d ricordare. E' stato piacevole scoprirlo con lo scorrere delle pagine.
Dal primo gennaio 2010 la mia vita non è più la stessa, poiché il mio punto di vista sulla lettura e sulla rilettura è mutato radicalmente. Seduto su una poltroncina sgualcita del treno, durante l'interminabile tratta regionale, ho aperto il libro che mi ero portato appresso, con la copertina dove si vedono dei grattaceli sullo sfondo di un cielo plumbeo; e sono partito dal primo dei tre racconti. Evevo un ricordo vago di quel testo letto in realtà neanche troppo tempo prima. Ricordavo soprattutto l'atmosfera che creava: ipnotica e plumbea. Ricordavo l'intreccio molto contorto, ricordavo l'assenza di una trama lineare (e di una trama tout court) e nonostante ciò ricordavo che l'impatto emotivo era forte e la tensione cresceva, rigo dopo rigo. Ricordo l'economia delle parole, anche di quelle che portano fuori strada o che stanno in postille apparentemente non necessarie. A ben vedere niente è fuori posto. Ricordavo che ero stato come risucchiato dalle sue pagine, ero entrato in una dimensione priva di coordinate, in cui i miei pensieri erani quelli di Qinn (il protagonista), le mie azioni erano quelle di Qinn, e come lui perdevo pian piano la cognizione dello spazio e del tempo. Ricordavo che anche allora ero in treno. A volte il treno è il posto giusto. Ricordavo che anche quella volta, improvvisamente, alla fine del capitolo, avevo guardato l'orologio e mi ero stupito di come fosse già passata un'ora, avevo guardato fuori e mi ero stupito di come fossi già arrivato a Siena. Non sapevo di saper altro, su quel racconto.
Qinn scorda e ricorda, muta pelle ad ogni pagina, insegue con tutta l'anima uno scopo, con disciplina; ma un attimo dopo quello stesso scopo è nell'oblio. All'inizio siamo calati in un giallo intrigante, ma lentamente tutto si contorge e si sgretola e l'obiettivo di risolvere il caso diventa solo un lontano e confuso ricordo. Come facente parte di na vita precedente. Alla fine ci si perde e, allo stesso modo, si raggiunge quello che è in potenza indicato fin dall'inizio del libro come lo stato finale, quello che Stillman (il cattivo) ha vaneggiato come lo stato divino, in cui il linguaggio che usiamo è una cosa sola con le cose che esso indica.
So di aver scritto alla Ghezzi, cioè in maniera ermetica e autoreferenziale. Però invito non tanto a leggere quanto a rileggere questo racconto. E' curioso, ricordavo tutto, ma non sapevo d ricordare. E' stato piacevole scoprirlo con lo scorrere delle pagine.
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